
C’è un momento, durante ogni matrimonio, in cui le pose si sciolgono. Gli occhi si cercano senza accorgersene, le mani si stringono con naturalezza, le risate scoppiano vere, fuori copione. Ecco, è in quell’istante che nasce una candid foto. Senza il filtro della regia, senza il richiamo della macchina fotografica. È lì che l’amore smette di essere spettacolo e si fa racconto. Ed è lì che il fotografo — se è bravo, se ha fiuto — deve trovarsi pronto.
Lo stile “candid” nei matrimoni non è una moda dell’ultimo minuto, anzi, ha radici profonde, anche se il termine è esploso solo negli ultimi dieci anni, complice l’influenza dei social e il rifiuto sempre più diffuso delle immagini costruite, finte, che sanno di fotoromanzo anni ’80. Candid significa “spontaneo”, “sincero”, “non posato”. Un termine nato nel mondo anglosassone, certo, ma che ha attecchito ovunque ci fosse voglia di autenticità.
Il fascino del candid sta proprio lì: nella possibilità di raccontare il giorno del matrimonio come un flusso di emozioni reali. Niente sorrisi forzati davanti ad un arco di fiori, niente “guardatevi negli occhi e fate finta che ridete”. Niente più “mettiti un po’ di tre quarti, altrimenti il velo non si vede”. Basta. Basta con lo spettacolo. Il candid è reportage puro. Fotogiornalismo dell’anima.
Ma attenzione: candid non significa “scatto a caso”. Non è un modo per risparmiare fatica, non è una giustificazione per chi non sa dirigere gli sposi. Al contrario, richiede occhio, sensibilità, allenamento. Chi scatta in stile candid deve prevedere gli attimi prima che accadano, riconoscere una carezza da lontano, sentire quando sta per esplodere una lacrima. Deve esserci, ma senza farsi notare. Deve sapere quando nascondersi dietro una colonna, o fare finta di controllare la messa a fuoco mentre coglie lo scambio di sguardi tra padre e figlia. È un lavoro d’intuito e discrezione. Un po’ come fare il ninja, ma con la macchina fotografica.
Nascita ed evoluzione
Lo stile è nato — per dirla tutta — come forma di resistenza. C’erano coppie stufe di passare ore a scattare foto tra una posa e l’altra, stufe di vedere album pieni di gente irrigidita. E c’erano fotografi che volevano raccontare storie, non solo fare “servizi”. Così hanno iniziato a mescolarsi alle feste, a scattare in silenzio, a cercare la verità delle emozioni. Il primo amore, da questo punto di vista, resta la scuola americana del wedding photojournalism: già negli anni ’90, alcuni pionieri del settore iniziarono a proporre uno stile documentaristico.
Tra i pionieri di questo stile, spicca Denis Reggie, considerato il padre del wedding photojournalism. È stato lui, negli anni ’90, a portarlo sotto i riflettori, diventando celebre per aver immortalato il matrimonio di John F. Kennedy Jr. e Carolyn Bessette con uno scatto passato alla storia: la coppia che esce dalla chiesa, lui che le bacia la mano mentre lei ride. Nulla di impostato, ma solo vita vera.
Poi c’è Jeff Ascough, fotografo britannico che ha trasformato la discrezione in arte. Le sue immagini sono spesso in bianco e nero, e sembrano sospese nel tempo. Lui non urla mai con l’obiettivo, sussurra. Lavora quasi da “invisibile”, cattura i momenti più intensi nel silenzio, come un osservatore trasparente che coglie l’essenziale.
Tyler Wirken, altro nome importante, ha spinto il concetto ancora oltre: niente pose, zero interferenze. Si definisce un “wedding storyteller” e lavora con un approccio da fotoreporter puro. I suoi album assomigliano a reportage intimi, crudi, onesti. Raccontano la giornata dall’interno, come se la macchina fotografica avesse avuto un’anima.
Ed infine Fer Juaristi, messicano, che mescola lo stile candid con un tocco artistico e cinematografico. Le sue inquadrature sono audaci, i tagli inaspettati, le emozioni autentiche. Riesce a dare personalità a ogni storia, senza mai cadere nella trappola della messinscena.
I fotografi appena citati provengono da background diversi, ma hanno un tratto comune, ossia la capacità di “sparire”, di nascondersi, di farsi da parte per lasciare che siano gli altri a brillare. Meno rigore e più verità, con estrema discrezione.
Poi è arrivata l’era digitale, con la libertà di scattare centinaia di foto senza preoccuparsi del rullino, ed infine i social – Instagram su tutti – hanno fatto il resto, imponendo la spontaneità come valore.
Oggi i candid wedding photographer sono quasi una categoria a parte. Hanno il loro linguaggio, le loro regole (non scritte), la loro clientela. Spesso lavorano da soli o in coppia, perché un occhio in più fa sempre comodo. E non è raro che lavorino con delle ottiche fisse, magari con una vecchia lente 50mm luminosa, proprio per entrare nel cuore dell’azione senza attirare troppa attenzione.
Cosa potrei ottenere da un servizio del genere?
Un album di nozze che non sembra un album, ma un racconto. Con scene che sembrano rubate da un film indie: la zia che si commuove davanti alla torta, la sposa che si sistema la scarpa mentre ride con le amiche, il bambino che si infila sotto il tavolo, lo sposo che si ferma un secondo, da solo, a respirare. Istanti veri, naturali, imperfetti e straordinari.
C’è anche un altro aspetto importante, che spesso si sottovaluta: le foto candid invecchiano bene. A differenza delle immagini patinate, che dopo qualche anno sanno di datato, le foto spontanee restano vive. Le riguardi dopo dieci, venti, trent’anni e ti sembrano ancora attuali. Perché l’autenticità, a differenza dello stile, non passa mai di moda, non ha bisogno di rinnovarsi e resta davvero eterna, nella sua unicità.
Certo, non è uno stile adatto a tutti. Ci sono coppie che preferiscono la sicurezza delle pose, il controllo della scena, il senso di “completo” che dà una galleria pianificata, e va benissimo, ma chi sceglie il candid, in genere, lo fa per un motivo preciso: vuole rivedersi com’è per davvero, e non come ha finto di essere quel giorno. Vuole riconoscere la smorfia quando ha pianto, il modo in cui lui l’ha guardata, il momento in cui la nonna ha fatto il brindisi fuori programma.
Ecco cosa rende questo stile così potente: racconta semplicemente quello che succede veramente, senza troppi fronzoli.